Il vecchio che resiste e il nuovismo che avanza Confusione nei partiti, disorientamento nell’elettorato di Francesco Nucara L’editoriale del prof. Giuseppe De Rita sul "Corriere della Sera" di sabato 20 luglio traccia con limpidezza il travaglio del nostro Paese in quest’ultimo ventennio. Egli si sofferma, a ragione, sulle cause di una situazione allarmante e foriera di guai peggiori. La parte che più ha destato interesse, spingendomi ad approfondirne il senso, è quella relativa al ruolo dei partiti e alla loro fine ingloriosa. Non vi è dubbio che i Costituenti, con la scrittura dell’articolo 49, avevano dato un ruolo preciso ai partiti. Quell’articolo non ha mai trovato vera applicazione. Bisogna ricordare, e De Rita lo esprime in maniera saggia e stringente, che, senza il ruolo dei partiti, non avremmo avuto l’Italia del boom e un Paese democratico. De Rita gentilmente irride a quei nuovi partiti, con i loro richiami "botanici o stellari o civici". Sono novità di facciata, che servono per attrarre il nuovo che, invece di avanzare, arretra. L’amico Figus scrive che i partiti nuovi assomigliano a quegli sportivi che pensano di essere campioni, e lo pensano con tale sicumera che evitano di allenarsi, andando così irrimediabilmente incontro a sonore sconfitte o pubblici ludibri se smascherati all’antidoping. Senza tradizione non ci può essere futuro. E la politica non si può fare navigando a vista o attraverso i blog, senza mai un confronto diretto. I partiti attuali rincorrono il potere per il potere, senza idee e senza capacità di sintesi politica per il Paese. Non sappiamo se per esistere bisogna individuare un blocco sociale di riferimento, come dice De Rita, visto che il Partito Repubblicano Italiano, da circa 120 anni, è stato fin dalla sua nascita interclassista per eccellenza. A proposito del potere, Giovanni Spadolini sosteneva che la politica non serve per il potere bensì per governare. Quasi tutti i partiti hanno perso il senso della loro tradizione, se mai l’hanno coltivato, e, nel falso tentativo di rinnovarsi, hanno ben pensato che il rinnovamento è cosa facile da ottenere: è sufficiente inserire nomi nuovi. Ma come si è ampiamente visto, il "vecchio" che resiste e il "nuovo" che tenta di emergere, non possono fare altro che generare una dannosa confusione, all’interno del partito stesso di riferimento e, più in generale, all’esterno, presso un sempre più disorientato elettorato. Bisognerebbe ricostruire i partiti della democrazia, come sostiene Giancarlo Tartaglia. Oggi in Italia la democrazia è realmente a rischio. Va dato indiscutibile merito a Giorgio Napolitano se siamo riusciti a superare più di uno scoglio, dopo le recenti consultazioni elettorali per il rinnovo del Parlamento, anche se non vi è dubbio che ci siano state, da parte del Colle, alcune forzature istituzionali e costituzionali. L’affidabilità democratica di Giorgio Napolitano è però fuori discussione. Apprezzo e stimo il Prof. De Rita e non perdo mai occasione di leggere le sue analisi. Nell’editoriale citato manca però, a mio sommesso avviso, un accenno al ruolo esercitato dal mondo repubblicano nel periodo in cui i partiti si identificavano storicamente, come dice De Rita stesso, con un aggettivo "democristiano" o "comunista". Eppure al prof. De Rita è ben noto il contributo di Ugo La Malfa alla liberalizzazione del commercio estero, come quello fornito con la "Nota aggiuntiva" e ancora con la "politica dei redditi". Al prof. De Rita è anche certamente nota la modifica del diritto di famiglia di Oronzo Reale, così come l’opera di moralizzazione della politica compiuta da Giovanni Spadolini. Botanicamente siamo da sempre un’"Edera", politicamente siamo il partito che ha sempre inteso badare agli interessi del Paese, in senso unitario, attuando una politica diversa da quella di governi che scientemente o ignorantemente, hanno sempre pensato a un Paese diviso in due: un Nord ricco, che non deve intaccare la sua ricchezza e un Sud povero che può vivere "arrangiandosi". Politica scellerata, che ha portato il Mezzogiorno del Paese ad essere considerato un paria della società italiana. Alla piccola pattuglia repubblicana non resta oggi, ripeto oggi, che un ruolo di testimonianza. Ma nel nostro DNA portiamo l’insegnamento dei nostri maestri e, senza andare molto lontano, basta ricordare l’ultimo intervento di Ugo La Malfa - nel 1978 - al Congresso Repubblicano di Roma: "Nella storia del pensiero repubblicano il senso della nostra battaglia..." |